I quattro fratelli Palizzi nacquero fra il 1812 e il 1825 dall’unione fra Antonio Palizzi, di famiglia siciliana da tempo radicatasi a Lanciano, e Doralice Del Greco, figlia di un notaio Vastese. La famiglia, composta alla fine da ben nove figli, prese dimora a Vasto nel 1812 nella casa di via San Teodoro, oggi via San Francesco, dove è possibile osservare la lapide commemorativa dell’ultima visita in città dell’ormai famoso Filippo nel 1895.
Il primo dei Palizzi ad intraprendere la carriera artistica è il secondogenito Giuseppe, che lascia Vasto nel 1835 per raggiungere Napoli a studiare pittura all’Accademia di Belle Arti con il vedutista Antonio Van Pitloo e, successivamente, con il suo allievo, il vastese Gabriele Smargiassi. Questi artisti, raccolti nella cosiddetta “Scuola di Posillipo” si facevano promotori di una pittura “dal vero” che rifiutava il neoclassicismo allora imperante e i suoi riferimenti alla mitologia greca e romana, per scoprire la poesia insita nella natura.
La presenza di Giuseppe a Napoli richiamò nel 1836 anche quella del più giovane Filippo, nato il 16 giugno del 1818, che entrò in collisione con lo Smargiassi a causa di profondi dissidi artistici, ma soprattutto politici, dato che questi era fedele ai Borboni, mentre i Palizzi erano di idee carbonare. Mentre qualche anno dopo, nel 1844, Giuseppe sarebbe emigrato in Francia per rimanervi e morirvi nel 1888, Filippo iniziò a sviluppare una sua tecnica incentrata sul chiaroscuro e sull’uso di lastre fotografiche per la preparazione dei bozzetti che porteranno un artista come Domenico Morelli a paragonarlo addirittura a Caravaggio:
“Come il Caravaggio, egli sentì che l’impostazione categorica e totalitaria del chiaroscuro era il mezzo efficace per la resa del vero; alla luce diede palpiti nuovi; conferì alle ombre maggiore mistero; nella macchia pittorica vide i tenui fantasmi che furono l’assillo di tutta la sua vita di solitario: la vacca, la pecora, il cane, l’asinello. E con quegli umili elementi compose pagine pittoriche mirabili; raggiunse spesso pienezze formali che schiusero orizzonti nuovi alla pittura italiana. Coltivò con la medesima passione la figura umana, il paesaggio, la natura morta.”
Il faro artistico di Filippo Palizzi spinse a Napoli anche i fratelli minori Nicola e Francesco Paolo, nati rispettivamente nel 1820 e nel 1825. Il primo si dedicò ai paesaggi, il secondo maggiormente alle nature morte e alla pittura di figura, realizzando anche numerosi soggetti sacri. Purtroppo ambedue morirono piuttosto giovani, fra il 1870 ed il 1871.
Fu proprio la morte dei due fratelli più giovani a segnare anche la carriera di Filippo che, nel frattempo, aveva raggiunta una fama internazionale grazie alla realizzazione di cento acqueforti dipinte per l’opera Usi e costumi di Napoli descritti e dipinti del 1853 e per il successo del suo capolavoro Dopo il diluvio all’Esposizione Universale di Parigi del 1867.
Il più noto dei fratelli Palizzi, infatti, si ritirò ad una vita più riservata, senza però smettere di dipingere.
Nel 1878 accettò su invito del ministro della Pubblica Istruzione la presidenza del Real Istituto di Belle Arti di Napoli carica che mantenne, con una pausa in cui si dedicò al Museo Artistico Industriale di Napoli, fino alla morte avvenuta a Napoli l’11 settembre 1899.
Oggi Filippo Palizzi è ricordato come uno dei maggiori artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento e uno degli esponenti più originali del verismo. Le maggiori collezioni dei Palizzi sono a Napoli, presso l’Accademia di belle arti, il Museo Nazionale di Capodimonte, e a Palazzo Reale. Fondi importanti sono anche Milano, Lucera, Giulianova e Genova. Nella Galleria d’arte moderna di Roma esiste una “sala Palizzi” a lui dedicata, dove è collocato un busto modellato in suo onore dallo scultore Achille Orsi. All’Istituto d’Arte di Napoli, infine, sono presenti numerose sue opere in maiolica policroma realizzate per la Scuola della ceramica nel suo periodo come presidente dell’Istituto Artistico Industriale.