Gabriele Rossetti è stato uno dei primi commentatori moderni di Dante Alighieri. Pubblicò il suo Commento analitico sulla Divina Commedia a Londra nel 1826. I suoi studi, oggi considerati superati, sono strettamente legati a un’interpretazione simbolica e politica del testo di Dante.
Rileggendo alcuni passi, appare evidente quanto Rossetti fosse permeato da uno spirito anticlericale e quanto per lui fosse importante l’identificazione con la figura di Dante, il “Ghibellin fuggiasco,” nella cui vicenda umana vedeva forti parallelismi con il proprio destino di esule.
Allo stesso tempo, però, non bisogna dimenticare che Rossetti fu uno dei primi a diffondere la conoscenza di Dante in Inghilterra, insieme a Ugo Foscolo. Dante divenne un riferimento culturale del nostro Risorgimento proprio grazie all’ostinazione di Rossetti e alla sua capacità di trasmettere questa passione ai suoi figli.
L’importanza degli studi di Gabriele Rossetti su Dante Alighieri è particolarmente legata a un’opera: La Beatrice di Dante, pubblicata nel 1842.
Ma perché quest’opera è così importante? Per capirlo, basta leggerne le prime pagine:
“La Beatrice della Vita Nuova è una figura allegorica, per confessione e dimostrazione di Dante Medesimo. Il Convito di Dante è un lungo e minuto commento, fatto dal poeta ad alcune sue canzoni […] che intende illustrarvi quattordici di siffatte canzoni che furono da lui composte per la sua mistica donna, cioè per la filosofia”.
Prima di Rossetti, questo concetto non era mai stato così ben analizzato, e soprattutto, non era mai stato relazionato con l’appartenenza di Dante alla setta segreta dei “Fedeli d’Amore,” il cui fine era una riforma radicale della Chiesa, volta alla fine del suo potere temporale e alla sua restituzione al regno della spiritualità.
I Fedeli d’Amore erano un gruppo medievale di tipo iniziatico, presente nel XIII secolo in Italia, Francia (soprattutto in Provenza) e Belgio, probabilmente collegato al movimento dei trovatori, molto diffuso nel secolo precedente. Erano dediti al culto della “Donna Unica” e utilizzavano un linguaggio segreto (parlar cruz) affinché la loro dottrina non fosse accessibile ai non iniziati (la gente grosa).
La Dama simboleggiava l’intelletto trascendente, vale a dire l’Intelligenza accessibile al discernimento spirituale, o meglio “Madonna Intelligenza,” la “vedova che non era vedova” perché suo marito, il Papa, era spiritualmente morto essendosi dedicato totalmente alle cose temporali.
I Fedeli d’Amore mischiavano volutamente i concetti di morte e amore che, in un gioco di parole provenzale, diventavano “a-mor,” ovvero “senza morte,” quindi eterno. Infatti, l’adepto desiderava “morire d’amore,” poiché, in tal modo, l’umano e il divino si congiungevano in un unico sublime ed eterno amore.
L’intuizione di Rossetti sulla figura di Beatrice ebbe inizialmente un’importante eco in Italia, dove venne ripresa da alcuni studiosi, fra cui Giovanni Pascoli, fino a essere celebrata da Luigi Valli ne Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore» nel 1928.