In Santa Maria Maggiore, sono visibili le tracce di un passato che risale ai primi secoli della cristianità e che costituisce il nucleo più antico della città medievale. Siamo infatti nel “castellum”, il nucleo della rinascita di un tessuto urbano dopo lo spopolamento seguito alla guerra gotica del sesto secolo.
In questo luogo era già attestata dal 427 la presenza di una chiesa intitolata a Sant’Eleuterio. Era inoltre presente un forte normanno, chiamato la “Battaglia” che faceva parte della prima cerchia muraria. Con l’arrivo degli svevi abbiamo la prima attestazione ufficiale dell’esistenza della chiesa quando il Re Enrico VI il crudele, nel 1195, conferma Santa Maria in Guasto Aimone quale chiesa in obbedienza ai benedettini dell’importante monastero di San Giovanni in Venere.
Con l’espansione della città sotto Federico II e con l’allargamento della cinta muraria, Santa Maria Maggiore venne ampliata. Nel 1234 venne aggiunto un vestibolo di cui sono visibili le colonne oggi inglobate nella parte esterna della navata destra, sull’attuale via Santa Maria. In epoca Angioina, nel 1331 fu edificata la torre campanaria sulle rovine della Battaglia, con la costruzione di una torre dotata di due finestre a sesto acuto per ciascun lato. Della struttura trecentesca rimangono alcuni dettagli architettonici all’esterno della navata sinistra, in particolare una bifora murata visibile da via Tiziano, dietro il campanile.

La chiesa rimase distrutta nel 1566 durante l’incursione degli ottomani guidati da Pialy Pascià. Ricostruita dai d’Avalos, ricevette in dono da Francesco Ferdinando d’Avalos la reliquia della Sacra Spina, a sua volta donatagli da Filippo II di Spagna per averlo rappresentato durante il lavoro del Concilio di Trento.
A seguito di un ulteriore incendio nel 1645, la chiesa fu ricostruita nuovamente dai d’Avalos, che l’arricchirono di reliquie ed opere d’arte. In particolare, don Cesare Michelangelo d’Avalos, che proprio in questa chiesa aveva ricevuto il battesimo nel 1667, fece dono a Santa Maria nel 1695 delle reliquie di San Cesario, oggi ospitate nella omonima cripta. Lo stesso don Cesare, diventato nel frattempo Marchese del Vasto, fece realizzare fra il 1715 e il 1730 la maestosa cella campanaria che completa oggi il campanile di Santa Maria. Sempre grazie a don Cesare, la chiesa ottenne dal papa il titolo di “Insigne Collegiata” con i relativi benefici economici nel 1734.

Ampliata ulteriormente nel 1785, Santa Maria perse il titolo nel 1809, quando Giuseppe Bonaparte, Re di Napoli, soppresse i capitoli di Santa Maria e San Pietro, elevando in loro sostituzione la chiesa di Sant’Agostino che avrebbe preso poi il nome di San Giuseppe.
Nonostante il declassamento, la presenza di due forti confraternite, dette “del Gonfalone” e “della Sacra Spina”, consentì alla chiesa di continuare a espandersi ed abbellirsi.
Nel 1838 il grande architetto vastese Nicola Maria Pietrocola progettò l’attuale sistemazione neoclassica dell’interno sopraelevando il presbiterio e realizzando la cripta sottostante. La chiesa, con la costruzione delle navate laterali, perse la pianta a croce latina che prima la caratterizzava, poiché i bracci del transetto vennero ad essere incorporati nelle navate, così come si può vedere osservando le mura della navata destra da via Santa Maria.
Con ulteriori interventi degli architetti Silvestro e Roberto Benedetti vennero sistemate le cappelle del Sacro Cuore e della Sacra Spina, rispettivamente nella navata sinistra e al termine della navata destra, arrivando alla sistemazione attuale del tempio mariano che rappresenta meglio di ogni altro la devozione dei vastesi e la storia della città.